Il documento noto come busta paga, chiamato anche cedolino paga o semplicemente cedolino corrisponde a qualcosa di non coerente a tutti i paesi europei e mondiali in quanto non necessariamente una forma simile di documentazione che corrisponde a tutte le informazioni che fanno capo ad una relazione professionale tra datore di lavoro e lavoratore, indifferentemente dal tipo di contratto e della sua durata. La busta paga è però effettivamente obbligatoria?
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La domanda non è così scontata, in quanto per una percentuale non ignorabile il documento in questione è considerato non sempre presente, in quanto certifica sia la prestazione lavorativa, ma anche un importante compendio di informazioni di tipo previdenziale e legato ad aspetti legali.
Cosa succede ad esempio se la busta paga non viene consegnata al lavoratore?
Busta paga obbligatoria: ecco cosa dice la legge
La busta paga identifica un documento che viene fornito dal datore di lavoro a cadenza regolare, generalmente una volta al mese e contiene oltre alle varie informazioni anagrafiche del lavoratore anche una serie di voci inerenti alla posizione professionale, mansione, posizione lavorativa e quant’altro ma evidenzia anche i dettagli inerenti al posto di lavoro.
Spesso viene consultata per calcolare e controllare l’importo del salario che è ovviamente quello che interessa maggiormente a buona parte degli impiegati.
Il nome deriva dalla “vera” busta paga, ossia una busta di carta che fino a non troppi anni fa era considerata la prassi pratica in quanto conteneva i soldi effettivamente corrispondenti alla retribuizione.
Come evidenzia l’articolo 1 della legge n. 4 del 1953, il datore di lavoro è tenuto legalmente dallo Stato italiano a consegnare la busta paga “nel momento stesso in cui viene consegnata la retribuzione”.
Questo può avvenire sia fisicamente che attraverso una mail PEC, oppure una mail tradizionale o tramite il consulente del lavoro dell’azienda, ad esempio attraverso il sito web aziendale.
Non esiste una scadenza effettiva per il datore di lavoro entro il quale è “al sicuro” da eventuali sanzioni, generalmente i limiti fanno riferimento ad un arco temporale che intercorre dal giorno 27 del mese o entro il giorno 5 del mese successivo.
Le sanzioni possono essere diventare effettive dietro segnalazione da parte del lavoratore, che può chiedere una diffida direttamente presso il datore di lavoro, con l’ausilio di un legale.
Queste sono varie a seconda delle situazioni, da 150 a 900 euro in caso di mancata consegna o ritardo, ma l’importo può superare i 3500 euro se il ritardo/mancata consegna è corrispondente a 5 o più lavoratori o se corrisponde ad una tempistica più elevata di sei mesi.
Fino a 7200 euro se il ritardo è maggiore di 10 mesi o se riguarda oltre 10 lavoratori.